Archives: Settembre 28, 2021

Nuove Droghe


Finora nel 2021 sono state rilevate ben 128 nuove droghe, 90 delle quali sono state segnalate in Italia. A rivelarlo sono i membri dell’Istituto Superiore di Sanità, che hanno presentato un nuovo Report che fa luce sulla situazione in Europa e nel nostro Paese in merito alla diffusione delle sostanze stupefacenti.

Le nuove droghe individuate dal Sistema Nazionale di Allerta Precoce (SNAP) appartengono prevalentemente a tre differenti classi.

La prima è la classe dei catinoni: sostanze stimolanti derivanti dal khat, Catha edulis, una pianta originaria del Corno d’Africa e della penisola arabica. Si tratta di stimolanti simili alle amfetamine, spesso note come sali da bagno, possono contenere il sostituto del catinone mefedrone.                    Gli effetti  possibili sono mal di testa, tachicardia e palpitazioni, allucinazioni, agitazione, una maggiore resistenza e tolleranza al dolore e la propensione al comportamento violento. Nei casi più gravi si possono presentare infarto del miocardio, insufficienza renale e insufficienza epatica.

La seconda quella degli oppioidi sintetici analoghi del Fentanil una sostanza potente circa 100 volte più della morfina chein dosi elevate può indurre ipotensione arteriosa, depressione respiratoria, insufficienza cardio-circolatoria (fino all’edema polmonare acuto), il coma e la morte.

I cannabinoidi sintetici sono spesso chiamati anche erba sintetica, e sono considerati alternative alla semplice marijuana. In realtà, si tratta di composti dagli effetti imprevedibili e con un’azione sul cervello molto più potente di quella della normale erba. In alcuni casi i cannabinoidi sintetici, però, possono provocare gravi effetti sul cervello o sull’organismo, che in casi estremi potrebbero diventare anche mortali.

I nomi comunemente usati per i cannabinoidi sintetici sono: Spice, K2, X, Tai high hawaiian haze, Mary joy, Exodus damnation, Ecsess, Devil’s weed, Clockwork orange, Bombay blue extreme, Blue cheese, Black mamba, Annihilation.


L’amore e la paura

Avrete sentito della storia di qualche settimana fa della ragazza di Castelfiorentino cacciata di casa perchè lesbica, con la madre che le ha augurato un tumore oltre ad aver dichiarato che preferiva che la figlia fosse drogata piuttosto che omosessuale, perchè perlomeno nel primo caso c’è una cura. L’avrebbe anche minacciata di ucciderla se fosse tornata perchè “meglio 50 anni di galera che una figlia lesbica”.

Questa la reazione della sua famiglia alla lettera con cui ha scelto di fare “coming out”. Poichè la ragazza aveva paura della reazione dei suoi, ha preferito scrivere una lettera nella quale chiedeva loro di starle accanto e l’ha lasciata nel cassetto della mamma, la mattina prima di uscire per andare a lavoro. Una volta tornata da lavoro però i genitori non le hanno aperto più la porta di casa, cosi non ha potuto piu neanche prendere le sue cose, ha perso tutto, lei che prima di dire di essere gay aveva un ottimo rapporto con la madre. Ciònonostante Malika non si è pentita ed è giustamente fiera di essere stata cosi coraggiosa da fare comunque la cosa giusta, seguendo il suo cuore.

Come spiegare questo voltafaccia cosi violento, se non con la paura che ha invaso i genitori della ragazza toscana? Paura della diversità? Come se fosse cosi diverso vivere con una persona ed amarla solo perchè è attratta da persone dello stesso sesso, invece che del sesso opposto. Paura di ciò che non si conosce…Paura del giudizio degli altri? Cosa diranno i vicini, i parenti, gli amici? Paura che, nel caso dei genitori della coraggiosa ragazza , acceca e copre, supera, neutralizza l’amore, anche quello per una figlia. Invece l’amore di Malika, forse reso ancora più forte e limpido dal suo venire allo scoperto, fa si che lei stessa sia riuscita a dimostrare compassione nei confronti di sua madre e suo padre; la figlia reietta ha infatti chiesto di non odiare i suoi genitori, capendo che anche loro hanno bisogno di aiuto.

Purtroppo esistono ancora molte storie come questa, di giovani vittime che come Malika sono state rifiutate dalla loro famiglia fino ad essere cacciate di casa e questo mette ancora una volta in luce quanto sia necessario provvedere a infrastrutture sociali in grado di sostenerle, accoglierle, accompagnarle. Altra necessità messa in luce da queste storie è quella di approvare il Ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia da mesi in attesa di approvazione in Senato, provvedimento tenuto in ostaggio dai partiti di destra e centrodestra. Voi che ne pensate?


La capacità di prendere decisioni e le altre life skills

Tante volte sul camper mi trovo a parlare con le ragazze ed i ragazzi dell’importanza della consapevolezza nelle scelte che fanno riguardo ai comportamenti a rischio. Fare sesso occasionale con o senza preservativo, provare una sostanza o non provarla, o piu semplicemente bere alcolici a stomaco vuoto o pieno può cambiare non solo una serata, ma anche un’intera esistenza.

La “capacità di prendere decisioni” rientra nel novero delle 10 “life skills”, l’insieme di abilità sociali, cognitive e personali che consentono di affrontare positivamente le richieste e le sfide che ci riserva la vita quotidiana. Vediamole un pò nel dettaglio:

  1. la capacità di prendere decisioni ovvero decision making: saper elaborare in modo attivo il processo decisionale sostenendo la decisione più opportuna;
  2. la capacità di risolvere i problemi  (il problem solving) saper risolvere in modo costruttivo i problemi e le criticità;
  3. il pensiero creativo, cioè l’abilità di trovare soluzioni alternative alle svariate situazioni che si presentano nella vita. Essa ha un ruolo importante nella richiestissima capacità di problem solving;
  4. il senso critico: la capacità di ri-elaborare in modo autonomo e oggettivo situazioni e avvenimenti; il pensiero critico potrebbe sostenere moltissimo i giovani a contrastare e gestire meglio quelli che sono gli innegabili “rischi” che si celano in un utilizzo “non etico della Rete internet”;
  5. la comunicazione efficace: sapersi esprimere in modo efficace nelle diverse situazioni, saper esprimere sentimenti, bisogni e stati d’animo in modo appropriato, essere in grado di ascoltare l’altro;
  6. la capacità di relazionarsi con gli altri, ossia l’abilità di stabilire e mantenere relazioni significative in modo positivo e saper interrompere relazioni, se necessario, in modo costruttivo e non violento;
  7. la conoscenza di sé, delle proprie abilità, dei propri punti di forza e di debolezza e dei propri bisogni;
  8. l’empatia ossia la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, cioè di ascoltare senza pre-giudizi, cercando di capire il punto di vista dell’altro;
  9.  la gestione delle emozioni: consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di gestione delle stesse in un contesto multiplo;
  10. la gestione dello stress ovvero la capacità di riconoscere le cause che creano tensione, di saper mettere in atto dei cambiamenti, di sapersi adattare alle situazioni.

Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree:

  • EMOTIVE- consapevolezza di sè, gestione delle emozioni, gestione dello stress
  • RELAZIONALI – empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci
  • COGNITIVE – risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo

Ormai quasi 30 anni fa, nel 1993, per la prima volta il Dipartimento di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva confermato tali abilità psicosociali quali competenze privilegiate per promuovere l’educazione alla salute nell’ambito scolastico e, prima ancora, nell’ambito personale.

Sempre secondo l’OMS la fascia di età adatta per cominciare ad apprendere tali competenze sia tra i 6 e16 anni, periodo in cui eventuali comportamenti a rischio non sono ancora cristallizzati. Ma queste abilità sono importanti in tutte le fasi della vita di una persona e in ogni contesto, a scuola, in ambiente lavorativo, ma in generale nella vita quotidiana. Possedere adeguate competenze interpersonali, ad esempio, ti permette di avere relazioni migliori perché basate sulle interazioni sicure e scambi basati sul reciproco rispetto. Nelle scuole spesso vengono trasmesse competenze che riguardano le materie di studio, ma l’arte di “imparare a vivere” è spesso relegata al “fai da te.” Oppure se sei fortunato, ti imbatti nel servizio Informabus che nei suoi progetti negli istituti superiori, e durante le sue uscite per le strade e per le piazze di Ancona ha spesso parlato ai ragazzi con cui è venuto in contatto.

Volete approfondire il discorso? Commentate l’articolo, oppure scriveteci ai nostri account facebook o instagram, o se preferite vi aspettiamo sul nostro camper colorato che gira per la città!


Quale libertà per i diritti lgbtiq?

Uno degli argomenti che a volte emergono nei dialoghi che il servizio Informabus ha con i ragazzi e le ragazze che si avvicinano all’unità di strada è quello dell’omosessualità. Ad esempio quando si parla di preservativi capita che uno dei ragazzi prenda in giro un altro del gruppo dicendo che lui il preservativo lo utilizza con persone dello stesso sesso. Probabilmente si tratta di uno scherzo bonario che però riflette ancora una mentalità discriminatoria nei confronti di orientamenti sessuali minoritari. In queste circostanze non perdiamo occasione per parlare dell’importanza del rispetto per chi vive la propria sessualità in maniera diversa.

Non dimentichiamo che solo nel 1973 l’American Psychiatric Association rimosse l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, negando così la sua precedente definizione di omosessualità come disordine mentale. Oggi, perlomeno nella maggior parte dei paesi l’essere gay o lesbiche non è più punito dalla legge, ma ancora d’altra parte, molte nazioni del Medio Oriente e africane, così come vari stati asiatici, caraibici e sudpacifici, ritengono l’omosessualità illegale. In sei nazioni il comportamento omosessuale è punibile con l’ergastolo; in altre dieci la pena può giungere alla morte.

Secondo Wikipedia l’omosessualità è una variante naturale del comportamento animale che comporta l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso. Nella definizione di  orientamento sessuale, l’omosessualità viene collocata nel continuum etero-omosessuale della sessualità umana, riscontra in molte specie animali e in molte antiche culture le relazioni omosessuali erano altamente diffuse.

Tornando ai nostri giorni ci piace riportare la notizia che pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che dichiara i Paesi Ue “zona di libertà” per le persone “Lgbtiq”, ovvero  lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer. Si tratta di un atto simbolico per denunciare tutte le forme di violenza e discriminazione fondate sul sesso o l’orientamento sessuale delle persone, nonchè per prendere posizione contro ciò che sta accadendo in Polonia ed Ungheria. Nel documento approvato dall’europarlamento viene sottolineato che dal marzo 2019 più di 100 regioni, distretti e comuni polacchi si sono autodefiniti zone libere dalla cosiddetta ideologia LGBTIQ e che nel novembre 2020 la città ungherese di Nagykáta ha approvato una risoluzione che vieta la “diffusione e promozione della propaganda LGBTIQ”.

Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro questa documento, ma daltronde non c’è da stupirsene viste le ideologie xenofobe ed intolleranti da cui provengono i due partiti della destra radicale italiana. Non a caso sempre La Lega e Fratelli d’Italia si sono anche opposti alla legge contro l’omofobia approvata alla Camera, ma non in Senato, che punirebbe col carcere chi commette violenza o incita a farlo sulla base dell’orientamento sessuale. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una legge che tuteli in modo adeguato e specifico la comunità Lgbtqi. Secondo alcuni, a quanto pare, non c’è questa necessità.

Ma la realtà qual’è? Ogni anno nel “bel paese” si verificano da 100 a 200 casi di violenza e discriminazione nei confronti di appartenenti alla comunità lgbtiq, Nei registri delle associazioni LGBTQI dell’Italia settentrionale la metà degli iscritti viene dal Sud. Vuol dire che è altissima la percentuale di persone che abbandonano le proprie case, le proprie città, il proprio mondo nelle regioni del Sud per fuggire al Nord e sfuggire a pregiudizi e violenze. Si va  dalle aggressioni, agli adescamenti a scopo di rapina, ricatto o estorsione, poi ci sono violenze familiari,  discriminazioni o insulti in luoghi pubblici, come bar o ristoranti, scritte infamanti su muri, auto, abitazioni, infine hate speech e di incitazione all’odio.

Sapete qual’è la percentuale di gay in Italia sulla popolazione totale? Il 5% dei nostri concittadini è gay e lo 0,1 trans. Ve l’aspettavate una cifra cosi? Io sinceramente no, sarà perche’ ancora, anche se meno di qualche anno fa, gli omosessuali e gli altri lgbtiq sono vittime di violenza e discriminazione, e non sono affatto incentivati a mostrare i loro sentimenti ed il loro modo di essere. Sarebbe ora nel 2021 no? Voi che ne pensate?


Pillola abortiva, si o no?

Qualcuno che sta leggendo quest’articolo per caso sabato scorso 6 febbraio è passato in piazza Roma verso le 17:00? Se la risposta è affermativa allora sicuramente avrà visto tanta gente con striscioni, cartelli e bandiere.

Si trattava di persone molto diverse tra loro: c’erano ragazze, famiglie con bambini e passeggini, adulti, anziani, punk con creste e borchie; tutti però condividevano la voglia, l’urgenza di protestare contro la decisione della regione Marche di non accettare le nuove linee guida del Ministero della Salute sull’aborto farmacologico, che allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza e annullano l’obbligo di ricovero (anche day hospital) in seguito all’assunzione della pillola Ru486 permettendo anche ai consultori di effettuare la somministrazione.

Innanzitutto cerchiamo di capire di che farmaco stiamo parlando: la pillola RU486 è un antiprogestinico di sintesi utilizzato come farmaco ( in associazione con una prostaglandina) per indurre l’interruzione della gravidanza farmacologica; il farmaco, che si assume per via orale, è stato introdotto in Italia dopo una lunga battaglia solo nel 2009. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali (l’aborto per aspirazione, ad esempio), la RU-486: ——— non richiede intervento chirurgico e anestesia, non rende indispensabile da un punto di vista clinico l’ospedalizzazione (che è comunque prevista normativamente in alcuni Stati) – —— non comporta i rischi legati alle complicazioni possibili dell’intervento chirurgico (rottura dell’utero, lacerazioni del collo dell’utero, emorragie ecc.); – può essere utilizzata nelle prime settimane di gravidanza, mentre l’aspirazione viene eseguita generalmente dopo la 7° settimana (interrompendo lo sviluppo dell’embrione in una fase precedente si ottiene il duplice risultato di interrompere la gravidanza in un momento in cui lo statuto di persona è difficilmente sostenibile e di ridurre le complicazioni per la donna).

Attualmente la pillola della discordia è in uso in tutti gli Stati dell’Unione Europea, ad eccezione della Polonia e della Lituania, oltre che dell’Irlanda e di Malta (paesi nei quali l’aborto è vietato). Per quanto attiene il resto del mondo, come nell’UE anche negli Usa, in molti paesi dell’Europa dell’est, in India, in Cina e in quasi tutti i Paesi dove l’aborto è legale, decine di milioni di donne hanno abortito volontariamente con questo metodo, che è considerato sicuro ed efficace dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per capire meglio la questione bisogna tenere in considerazione il contesto in cui questa nuova situazione si innesta; nonostante l’aborto sia legale nel nostro paese dal 1978, (grazie alla legge 194) una parte dei cittadini per questioni etico-religiose non è daccordo con questa pratica. Padronissimi, per carità, ma dal non volersi avvalere di un diritto a voler negare agli altri di poterlo fare ce ne passa, eh? In Italia l’obiezione di coscienza sul tema (ginecologi che si rifiutano di eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza) è in media è del 70%, le Marche sono su quelle cifre, e il numero sta crescendo sempre più: continuando cosi, cosa succederà tra qualche anno?

A preoccupare è prima di tutto un dato: l’aborto clandestino esiste ancora. Lo ammette lo stesso Ministero della Salute, che, nella sua ultima relazione al Parlamento (gennaio 2019) approssimava una stima (ma non dati certi, trattandosi di una pratica illegale): tra le 10 e le 13 mila donne ogni anno ancora vi ricorrono. Che senso ha allora rendere ulteriormente difficile la via già difficile di chi sceglie di interrompere una gravidanza non desiderata? Molto probabilmente spesso si tratta di una scelta già difficile e sofferta.

Pertanto invece di mettere i bastoni tra le ruota a chi si trova in una situazione già difficile, forse sarebbe meglio cercare di lavorare sulla prevenzione, con informazioni e contraccezione: proprio quello che facciamo noi sul camper dell‘Unità di Strada Informabus! Venite a trovarci per dire la vostra, oppure commentate quest’articolo!


Adolescenti suicidi

Oggi parliamo di un tema veramente scomodo: la morte di bambini ed adolescenti causate da suicidio o condotte autolesionistiche. Partiamo da 2 tragici fatti di cronaca verificatisi negli ultimi giorni: una bambina di 10 anni a Palermo e un bambino di 9 a Bari. Secondo una prima ricostruzione la piccola avrebbe raccolto la sfida che su “tik tok viene chiamata “hanging challenge” e che prevede una prova di resistenza; consiste nello stringersi una cintura attorno al collo e resistere il più possibile. Purtroppo la bambina è arrivata all’asfissia con conseguente morte cerebrale. Del bambino di Bari trovato impiccato in cameretta invece per ora si sa ben poco, praticamente solo che la morte è avvenuta per soffocamento e che il bambino è stato trovato dalla mamma con una cordicella stretta attorno al collo, agganciata ad un attaccapanni.

Quello che invece è evidente è che in quest’epoca di pandemia stanno crescendo gli episodi di autolesionismo o in alcuni casi di tentativi di suicidio tra bimbi ed adolescenti così come sta aumentando il numero dei ricoveri nel reparto di Neuropsichiatria dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.

A livello globale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età 15-29 anni. Seconda causa di morte anche per i giovani italiani dai 15 ai 24 anni. Da una ricerca è emerso che in adolescenza un ragazzo su tredici ha tentato il suicidio, invece, la pianificazione o l’ideazione suicidaria comprende il 30% dei giovani (Kolves e De Leo, 2016). Il suicidio può essere definito non come desiderio di morte, ma come cessazione del flusso d’idee, come risoluzione del dolore psicologico insopportabile. Si può considerare il suicidio come un movimento di allontanamento da emozioni intollerabili, dolore insopportabile o forte angoscia e non come un movimento verso la morte. Il suicidio non è un atto impulsivo, come spesso si crede, la persona non decide improvvisamente di mettere fine alla propria esistenza, ma spesso è un atto meditato nel tempo. Il soggetto non riesce più a trovare uno scopo di vita, percepisce il proprio disagio interiore come intollerabile e arriva, quindi, a sentirsi “in-aiutabile”.
A lanciare l’allarme è Stefano Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del nosocomio pediatrico romano. “Da ottobre ad oggi, quindi dopo la prima ondata Covid, abbiamo registrato un aumento dei ricoveri del 30% circa. Nel 2011 abbiamo avuto 12 ricoveri per attività autolesionistica, a scopo suicidario e non, mentre nel 2020 oltre 300, quindi quasi uno al giorno”, aggiunge.

Poi continua: “Tutto questo è assolutamente associato al periodo di chiusura, gli adolescenti vivono con grande preoccupazione questo periodo e quindi c’è una ripercussione sui loro vissuti particolarmente importante. Mi comincio a chiedere quando tutta questa emergenza sarà finita quello che dovremo gestire. Sarà un’onda lunga”.

E ancora:  “C’è un altra fetta nel mondo di giovani che si chiudono sempre di più dentro casa, dentro la stanza, che trascorrono ore ai videogiochi senza nessun interesse sociale. Che vivono l’inutilità della relazione e confinano sempre più questo mondo ai tablet o agli strumenti tecnologici. Finita l’emergenza sarà molto difficile farli uscire di casa. È li che trovano rassicurazione. È lì che gli si rinforza il sintomo di una fobia sociale che spesso si accompagna a forme più o meno acute di depressione”.

Stiamo chiedendo di rimanere in stand by, di sospendere la propria vita a degli esseri viventi che hanno bisogno di fare, di fare eperienze reali, di sperimentare con il gruppo dei pari. Insomma la situazione è davvero critica, e le conseguenze potrebbero essere molto gravi. Dall’opinione pubblica stanno aumentando il malcontento e le proteste per delle norme che penalizzano molto pesantemente i piu giovani per salvaguardare gli altri, ma forse stiamo chiedendo loro sforzi eccessivi? Voi che ne pensate?


Gli adolescenti e la pandemia

Gli anni dell’adolescenza di solito sono quelli in cui si vivono “le prime volte”: prima uscita con il/la ragazzo/a che ti piace, il primo bacio, la prima volta che si fa l’amore, prima volta che si fa tardi la sera, ci si apre al mondo e ci si inizia a sperimenta lontano dal nido familiare; esperienze fondamentali per crescere e formare la propria identità. Chi vive questa fase della propria vita in questo periodo storico rischia di dover posticipare queste tappe e di vivere invece altre prime volte: la prima didattica a distanza, il primo lockdown, il primo compleanno senza amici e amiche…

Ho sentito per radio di alcuni nonni che hanno detto di voler rinunciare alla propria dose di vaccino per cederla ai nipoti, in modo che possano tornare a scuola e porre fine a questa reclusione. Ho sentito anche un’altra signora di 80 anni ha detto che secondo lei i vaccini andrebbero somministrati prima ad insegnanti e studenti, in maniera tale da permettere a questi ultimi di poter tornare alla loro vita, perlomeno di mattina, perchè loro sono il futuro, mentre i suoi coetanei sono il passato. Purtroppo queste voci mi sembrano isolate nel coro di coloro che rimproverano i ragazzi e le ragazze di stare troppo vicini, senza le mascherine, o dicono loro: “noi abbiamo vissuto la guerra, che vuoi che sia qualche mese di restrizioni, distanziamento sociale, mascherine, didattica a distanza…pensassero ad Anna Frank…”.

Quali saranno le conseguenze psicologiche e relazionali per questi ragazzi e ragazze, una volta che parentesi di semi prigionia si chiuderanno? Secondo il recente rapporto di Save the Children ben 6 ragazzi su 10 ritengono che il lockdown abbia avuto e stia avendo ripercussioni negative sulla propria capacità di socializzare e sul proprio stato d’animo e umore e allo stesso tempo il 50% dei ragazzi, 1 su 2, ritiene che anche le proprie amicizie abbiano subito ripercussioni negative a causa dell’impossibilità di andare a scuola.

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Escludendo la possibilità di relazionarsi con gli altri gli adolescenti si sono chiusi in sé stessi, dismettendo in qualche modo il loro ruolo. Non hanno voglia di fare dibattiti, di contrastare i genitori e di esprimere il loro punto di vista. La loro voglia di relazionarsi con gli altri, visto che non ne hanno la possibilità, è andata scemando. E per questo motivo la questione della scuola è centrale e tragica. Tolte le scuole viene meno l’asse portante delle relazioni; rischiamo davvero che gli adolescenti finiscano ripiegati su sé stessi. Oggi come oggi non soltanto il presente è diventato arido ma è anche estremamente difficile per i più giovani immaginare il proprio futuro.

I ragazzi e le ragazze che si avvicinano al camper dell’unità di Strada Informabus mi confermano di avere queste difficoltà, questi disagi. Voi cosa ne pensate?