Archives: Novembre 12, 2023

Yoga a scuola

ll 5 ottobre è stato pubblicato il Rapporto dell’Unicef intitolato La Condizione dell’infanzia nel mondo – Nella mia mente: promuovere, tutelare e sostenere la salute mentale dei bambini e dei giovani. Le prime stime che ne emergono sono a dir poco allarmanti.

A parlare sono numeri inquietanti: più di un adolescente su 7 (in prevalenza maschio), tra i 10 e i 19 anni, secondo i dati presenta un disturbo mentale diagnosticato (89 milioni, contro i 77 milioni di ragazze). Questo porta quasi 46mila adolescenti ogni anno a togliersi la vita.

Proprio il suicidio è una fra le prime cinque cause di morte nei giovanissimi tra 15 e 19 anni, ma in Europa occidentale diventa la seconda, con 4 casi su 100mila, dopo gli incidenti stradali. La pandemia ha fatto registrare un raddoppio dei tentati suicidi tra gli adolescenti.

Lo Yoga può rappresentare un percorso pedagogico alternativo per aiutare il giovane nel suo sviluppo di crescita individuale. Introdurre nei PTOF (piani triennali di offerta formativa) lo Yoga aiuterebbe i giovani a imparare a relazionarsi con gli altri grazie all’empatia e alla consapevolezza, che matura e affiora a mano a mano che si pratica la disciplina. È un percorso di crescita che conduce al rispetto di sé stessi e degli altri.

Cos’è lo yoga (in breve)

Lo yoga è una pratica indiana millenaria che mira al raggiungimento di un equilibrio e un benessere psicofisico permettendo l’integrazione dei vari piani dell’esistenza umana. La parola “yoga” deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa: ‘giogo’, ‘aggiogare’, ossia mettere insieme la mente, il corpo e lo spirito. Sebbene esistano diversi tipi di yoga, le pratiche si concentrano tipicamente sulle posizioni fisiche (asana), sulle tecniche di respirazione (pranayama) e sulla concentrazione e meditazione (dhyana).

L’adolescenza, si sa, è una fase delicata e complessa, caratterizzata da cambiamenti non solo fisici ma anche emotivi, psicologici e sociali. Solitamente, un figlio adolescente viene descritto come irascibile, impulsivo, in perenne conflitto con i genitori e incurante delle regole. A determinare l’insorgenza di rabbia, stress, ansia o depressione, concorrono spesso le trasformazioni ed eventi di vita che possono aumentare la vulnerabilità di ragazzi e ragazze. Diversi studi effettuati nel corso degli anni hanno dimostrato che lo yoga in adolescenza offre una serie incredibile di benefici, ponendosi come un supporto estremamente valido a livello mentale, emotivo e fisico.

Grazie allo yoga educativo in maniera trasversale alle altre discipline viene favorita la crescita del giovane anche da un punto di vista educativo. Sono ormai riconosciuti gli effetti benefici della disciplina, capace di:

  • stimolare e rinvigorire i processi di apprendimento quali la concentrazione e la memoria;
  • rafforza le energie della crescita:
  • favorisce il rispetto verso sé stessi e gli altri aiuta a prevenire situazioni di disagio o episodi di bullismo;
  • favorisce lo sviluppo di una personalità equilibrata;
  • favorisce il valore della propria personalità che non deve omologarsi intellettualmente.

Sono maturi i tempi per vedere la scuola non solo come luogo di apprendimento nozionistico, bensì luogo atto anche ad insegnare ai giovani come prendersi cura di sé stessi e delle proprie emozioni.

Insegnare ad ascoltarsi può essere una strada concreta per aiutare i giovani ad avere strumenti reali per gestire la rabbia, la tensione, i conflitti che possono vivere nel loro cammino verso il mondo adulto.

Secondo la comunità scientifica, lo yoga integrato nelle attività scolastiche apporta un contributo significativo nell’alleviare lo stress, l’ansia, migliorare l’umore e le capacità di autoregolazione emotiva. Oltre a un incrementato dei livelli di autostima e consapevolezza di sé tra i ragazzi alle scuole superiori, migliora anche le loro capacità cognitive

In Italia, esiste da anni la possibilità per le scuole di aderire su base volontaria al Protocollo d’Intesa attivo dal 1998 (e rinnovato nel 2015) tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e la Federazione Italiana Yoga (FIY) per l’insegnamento dello yoga in tutte le scuole pubbliche italiane. Il Protocollo prevede che a insegnare lo yoga nelle scuole italiane di ogni ordine e grado – da quelle dell’infanzia fino alle superiori, sia come materia curriculare che extracurriculare – siano gli insegnanti che appartengono all’Albo professionale della Federazione Italiana Yoga (FIY).  Dunque muoviamoci, rendiamo concreta questa possibilità, cosa aspettiamo?


Tagliarsi la pelle

Prendendo spunto da un racconto di un genitore che poco tempo fa è salito sul camper del servizio Informabus e ci ha raccontato di su* figli* che si taglia, oggi parliamo di questa pratica che riguarda molt* adolescenti.

Partiamo da una definizione: si chiama cutting (tagliarsi) la diffusa e attuale tendenza da parte dei teenager, di solito ragazze, a tagliare, incidere, ferire la superficie della propria pelle, soprattutto di gambe e braccia, con lamette, coltelli affilati, temperini, punte di vetro, lattine usate, o quant’altro. Può trattarsi di un singolo episodio o diventare abituale. Il cutting può diffondersi in modo epidemico in gruppi di amici, o di pari anche grazie alla rete, con un escalation di progressiva emulazione e autoemulazione.

“La pelle è il confine col mondo, il corpo è l’unica cosa sulla quale un adolescente – in quella fase della vita – sente di avere un potere, e quel potere lo affascina”.

Non c’è un’unica spiegazione che renda conto dei motivi per cui una persona può decidere di tagliarsi. Se alcuni ragazzi e ragazze si tagliano, è per controllare e interrompere, in modo indiretto, un dolore mentale troppo forte, un’angoscia troppo intensa e insostenibile: preferiscono soffrire nel corpo che psicologicamente, preferiscono il dolore fisico al dolore mentale e fanno in modo che il dolore fisico prenda il posto di quello mentale. Le ferite inflitte al corpo sono un mezzo estremo con cui lottare contro la sofferenza psicologica.

Per altri adolescenti tagliarsi è un modo per percepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti e inutili.

Tagliarsi dà l’illusione di un sollievo, a volte addirittura euforia, come se dai tagli fuoriuscissero finalmente le emozioni che non si riescono a tollerare dentro di sé: la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine e soprattutto la rabbia verso qualcun altro da cui si sente di dipendere e che si teme si allontani. È una rabbia che diventa odio contro se stessi e la propria incapacità nel gestire una data situazione.

Tagliarsi, ma anche bruciarsi con le sigarette (burning) o marchiarsi a fuoco la pelle con un laser o un ferro rovente (branding) o grattarsi sino a farsi uscire il sangue, permette, in assenza di strategie più mature e funzionali, di ristabilire un equilibrio, di ricollocarsi nella propria vita, di esprimere la propria indipendenza affettiva dai genitori o una sfida nei confronti delle regole che questi ultimi vogliono imporre.

I segni e le cicatrici lasciati da questi gesti autodistruttivi racchiudono una sofferenza per la quale la persona non ha ancora trovato parole per raccontarla e spiegarla.

Cutting, burning e branding sono comportamenti particolarmente frequenti durante l’adolescenza. E questo non è un caso, se teniamo presente che il corpo che cambia, amato e al tempo stesso rifiutato, il corpo dove nasce il desiderio sessuale e in cui si radica l’identità è il terreno di battaglia di ogni adolescente, di ogni ragazzo e ragazza.

Con il tagliarsi, l’adolescente può cercare una disperata via d’uscita dalla fatica per lui insostenibile della crescita, dal senso di fallimento per il non sentirsi in grado di farcela a diventare grande.

L’adolescenza è sicuramente una fase di trasformazione e una trasformazione non è mai un passaggio facile. Ci pensate alla farfalla che esce fuori dalla crisalide, alla nascita di un bambino o, più banalmente al germogliare di un seme. Quel seme si taglia, si rompe in due e, per farlo, marcisce nella terra. Il seme soffre e deve smettere di essere un seme per diventare germoglio. Quel vecchio e bozzuto seme deve lasciarsi morire affinché nasca il germoglio. Il tagliar potrebbe essere visto come un rito per far si che il seme riesca a germogliare, l’adolescente a crescere. In altri casi il tagliarsi potrebbe essere una richiesta d’aiuto. Se insieme al cutting ci sono dipendenze, traumi, abusi, disagi, disturbi di apprendimento, autismo, maltrattamenti o qualsiasi altro evento infausto, ce ne dobbiamo accorgere. Se un adolescente va a scuola, studia, esce con gli amici, guarda la tv, mangia, scrive e si incazza… ogni tanto è felice, ma questo lo riuscirà a dire qualche decade più tardi. Se la qualità della sua vita in tutte queste manifestazioni è buona, allora qualche taglio non deve impaurire troppo, Certo bisogna tener d’occhio la situazione e dimostrare di esserci al bisogno, senza essere invadenti. Che ne pensate? Scriveteci, venite a trovarci sul camper!























Alcol e Cannabis

Una delle domande più frequenti che le ragazze e i ragazzi che salgono sul camper Informabus fanno a noi operatori è perchè l’alcol è legale e cosi accessibile e la cannabis invece illegale e cosi demonizzata; oggi l’articolo parla proprio di questo.

Il nostro è evidentemente un paese di bevitori, tanto che consuma aperitivi alcolici, amari e superalcolici quasi il 50% della popolazione, dagli 11 anni in su (58,1% uomini – 34,6% delle donne). Secondo i dati dell’Istat relativi al biennio 2020-2021 (quelli che riguardano il 2022 saranno elaborati il prossimo anno insieme ai dati del 2023) il 15% degli adulti italiani compresi tra i 18 e 69 anni consuma alcolici in modalità o quantità ritenute “a maggior rischio” per la salute: insomma, secondo l’istituto di statistica, 8,7 milioni di italiani hanno problemi con l’alcol.

Sappiamo che a piccole dosi, incrementando la dopamina presente nel circuito mesolimbico della ricompensa, e rilasciando endorfine, porta a sensazioni di gioia, euforia e condivisione; l’assunzione di alcol altera l’attività cerebrale e ha effetti negativi sulle capacità di risoluzione dei problemi e sulla memoria.  

Influisce sul pensiero razionale, nel sopprimere la rabbia e nel fare scelte consapevoli. Tutti effetti che peggiorano all’assunzione di altro alcol; sino al coma etilico. 

Ma il danno non è solo per chi abusa: oltre 20 miliardi di euro all’anno vengono spesi dallo Stato per problematiche sanitarie e sociali dovute all’abuso di alcol come incidenti, morti, perdita di produttività, assenteismo, disoccupazione, costi sanitari. 

rappresentanti dell’attuale governo alla fiera Vinitaly

Per sostenere il mercato degli alcolici, leggermente in calo durante gli anni di pandemia, i politici italiani hanno preferito evitare di imporre etichette che mettano in guardia il consumatore in merito ai danni che l’alcol provoca alla salute. Purtroppo il vino non fa “buon sangue”, perché determina malassorbimento e cattivo funzionamento epatico; esattamente al contrario di quel che sostiene la “saggezza popolare”.  Eppure sono oltre 30 milioni gli italiani che consumano, più o meno regolarmente, alcolici. Non è per l’economia che l’alcol è legale, date le tante conseguenze negative del consumo, ma per soddisfare la volontà popolare. È un piacere a cui troppe persone non vogliono rinunciare. Non si vieta l’alcol, nonostante in Italia muoiano la media di 48 persone al giorno a causa del suo consumo. L’alcol è socialmente accettato e largamente pubblicizzato, anche se provoca forte dipendenza fisica. Quando si tratta d’alcol, il problema è il consumatore, non la sostanza in sè.

Sarebbe meraviglioso se si usasse la stessa logica per la cannabis: questa pianta ha una storia più antica della vite. La canapa ha accompagnato l’evoluzione umana; basti pensare alle corde, la carta, i tessuti e i farmaci. L’uso ricreativo del fiore risale a oltre 2.500 anni fa. Il proibizionismo di un fiore che non ha mai provocato un solo morto nella storia dell’umanità, e che viene oggi consumato da circa 6 milioni di italiani, penalizza fortemente o blocca anche le filiere che con la “droga” non c’entrano nulla, come quello della canapa industriale o della cannabis medica. L’uso della cannabis a fini ricreativi era un aspetto estremamente marginale nell’intero complesso di applicazioni a cui veniva destinata la pianta e fino al 1937 non venne mai considerata dannosa per gli esseri umani e pericolosa per la società.

pubblicità delle campagne di demonizzazione cannabis negli anni 50 del secolo scorso

Nella politica interna degli Stati Uniti la criminalizzazione della cannabis fu funzionale alla élite politica ed economica per due motivi paralleli. Da un lato, rappresentò l’escamotage perfetto per giustificare politiche di controllo sociale indirizzate contro le minoranze etniche. Dall’altro, servì a tutelare gli interessi economici delle industrie emergenti del farmaceutico, del petrolchimico e della carta, le più attive e coinvolte nella campagna propagandistica contro la cannabis.

altra pubblicità della campagna di demonizzazione della cannabis

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’influenza statunitense sulle Nazioni Unite garantì il successo dell’espansione globale della guerra alla cannabis e, di conseguenza, della tutela degli interessi delle “tre sorelle”. Così, dopo aver dichiarato la cannabis inutile per scopi medici, nel 1955 l’OMS raccomandava a tutti i governi membri dell’ONU di sopprimerne ogni consumo tra i cittadini, in quanto “da ogni punto di vista – fisico, sociale, mentale e criminologico – la cannabis deve essere considerata pericolosa”. Qualche anno dopo le Nazioni Unite approvavano, come trattato vincolante per tutti gli Stati membri, la Convenzione Unica sugli Stupefacenti. Nel testo, la cannabis veniva per la prima volta nella storia iscritta nell’albo delle droghe ed equiparata a eroina e cocaina nella famosa “tabella IV”, dove sono riportate le sostanze ritenute più pericolose per gli esseri umani. Per capire la non proporzionalità della disposizione, è opportuno notare che le tabelle I, II e III contengono sostanze le cui limitazioni sono di gran lunga inferiori a quelle della tabella IV. Tra le sostanze presenti nella tabella I sono presenti l’oppio, la morfina, il metadone e diverse benzodiazepine.

Da anni, decenni si è capito che siamo di fronte ad una droga leggera (a differenza dell’alcol), anche se non innocua; l’uso continuativo della cannabis sembra avere come effetti collaterali la slatentizzazione di psicosi e patologie psichiatriche, la compromissione di alcune facoltà cognitive tra cui la memoria a breve termine, una ridotta performance scolastica e lavorativa, disturbi dell’umore e a psicosi. Inoltre ci sono tutte le patologie cardio respiratorie dovute alla combustione, come per quanto riguarda il tabacco.

Certo è però che di fronte ai danni provocati dall’alcol è evidente una sproporzione tra come viene trattata la cannabis rispetto al tabacco.

Secondo voi in Italia cambierà mai qualcosa a riguardo? Quando si riuscirà ad avere una visione un pò meno paternalistica ed ideologica di questa sostanza?


adolescenti di oggi

L’articolo di oggi prende spunto da un recente laboratorio all’interno di un ciclo di formazione promosso dal Comune di Ancona sugli adolescenti.
Ad un certo punto il relatore ci ha fatto dividere in gruppi chiedendoci di descrivere i ragazzi e le ragazze di oggi, cercando però i lati positivi, per non scadere nel giudizio, cosa assai facile per un adulto.
Le caratteristiche peculiari venute fuori sono state le seguenti:
-bisogno di essere accettati dai coetanei
– una propensione al rispetto della diversità in generale (sessuale, etnica, di diverse
abilità)
– solidarietà tra pari e forte senso di giustizia
– rispetto alle generazioni precedenti un minor senso dell’autorità con conseguente minor rispetto nei confronti degli
adulti
– differente modalità di esprimersi, sono più coincisi
– maggior proiezione all’esterno piuttosto che all’interno, nel senso che sono più in grado di vedere e capire gli altri che sè stessi
– bisogno di far parte di un gruppo, che però è spesso solo virtuale, nella realtà faticano a trovarlo.
Ragionando su questi peculiarità sembrerebbe che, a parte la prima caratteristica (che avevamo già sottolineato prima che il formatore ci ricordasse di evidenziare solo gli aspetti positivi), in fondo forse i giovani di oggi sono una versione più evoluta della generazione precedente, cosi come la mia era più evoluta di quella dei miei genitori, e quella dei miei genitori era più evoluta di quella dei miei nonni, e via dicendo…

Certo, tralasciando le caratteristiche negative non può non emergere un profilo positivo che fa ben sperare e per un attimo fa accantonare tutta la preoccupazione e paura per il disagio adolescenziale di oggi.  Ma la realtà è che sono aumentate le minacce di suicidio e i comportamenti autolesivi, i disturbi del comportamento alimentare, i conflitti fra genitori e figli, i ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla scuola e dalla vita sociale e tante altre manifestazioni di sofferenza psichica adolescenziale. Tutti i Servizi per l’età evolutiva sono alle prese con un eccezionale numero di richieste di intervento, alcuni dei quali molto preoccupanti. Rispetto alle generazioni precedenti secondo Matteo Lancini presidente dell’associazione Minotauro di Milano, docente di psicologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca gli adolescenti hanno perso la tendenza a trasgredire e a opporsi agli adulti ed esprimono il proprio disagio e le sofferenze evolutive attaccando sé stessi e il proprio corpo. In passato prevalevano manifestazioni sintomatiche legate alla difficoltà nell’accettazione del corpo erotico e sessuale. Ora la sofferenza ha a che fare con il corpo estetico, e infatti non si percepiscono mai sufficientemente belli, e la mancanza di notorietà, cioè non ci si sente mai abbastanza popolari. Gli adulti, difensivamente, accusano internet, ma la società degli iper-ideali e del “successo a tutti i costi” non è attribuibile solo alla rete. Internet è un ambiente che ha amplificato miti affettivi e modelli di identificazione adulti che transitano quotidianamente anche da altri mass-media e, soprattutto, dalla quotidianità dei nostri atteggiamenti.

In adolescenza non si soffre esclusivamente per ciò che è accaduto in passato, ma soprattutto per ciò che si percepisce non potrà accadere. La sofferenza, il disagio adolescenziale dipende moltissimo dall’assenza di prospettive future. Il dolore deriva dalla sensazione di non poter realizzare i propri compiti evolutivi, di non riuscire a costruirsi una propria identità, di non intravedere la possibilità di realizzazione di sé e di sé nella società di cui si fa parte. Lascio al lettore l’analisi di ciò che è accaduto negli ultimi anni rispetto al pianeta, ai mari, all’atmosfera e all’economia. Ci sono stati adulti che hanno fatto pensare ai giovani che stessimo pensando a loro e al loro futuro? Ognuno risponderà come crede a questa domanda, magari anche cosi: “Ma chi se ne frega dei giovani e del loro futuro”.

L’adolescenza è una “seconda nascita”. A questa età si è chiamati, in primis dalla biologia, a realizzare dei nuovi compiti evolutivi, ad accettare trasformazioni del corpo non richieste e a lavorare mentalmente sui processi di separazione e individuazione. Se il corpo portato in dote dal cambiamento puberale non ti piace, se senti di non riuscire a realizzare i processi separativi dai tuoi genitori, se non riesci a investire nel ruolo di studente e ad avere una presenza riconosciuta all’interno del gruppo dei coetanei, soffri enormemente. Il blocco evolutivo dipende moltissimo dal sistema di rappresentazione del ragazzo o della ragazza, dai propri vissuti e dal proprio modo di guardare a sé stessi e alla propria realizzazione. Rappresentazioni proprie ma costruite all’interno di un contesto familiare, scolastico e sociale. Quando un adolescente è incastrato nel canale del parto della seconda nascita è meglio trattare seriamente la vicenda, non banalizzare: “Ma si, cosa vuoi che sia, passerà”; “Non dire stupidate, sei bellissima”. Sono risposte difensive provenienti da adulti troppo fragili per poter diventare qualcuno a cui chiedere aiuto, per poter essere un riferimento davvero autorevole per un adolescente.

Sempre secondo il prof. Lancini quello su cui ci troveremo a interrogarci maggiormente nei prossimi anni sia proprio quello relativo al progressivo disinteresse verso la sessualità. Agli adolescenti interessa sempre di più essere presente nella mente dell’altro, non di compenetrarne il corpo. La precocizzazione di bambini e bambine, che si vestono come ci vestivamo noi negli ultimi anni delle scuole superiori, non deve far pensare a un debutto anticipato del rapporto sessuale completo e a un desiderio senza freni. La società del futuro è fatta di compenetrazione nella mente dell’altro, il piacere è nell’essere sempre presenti nei pensieri dei tuoi coetanei. Per questo già ora contano di più i selfie e il sexting che il rapporto sessuale completo. Anche qui non è responsabilità di internet ma di come gli adulti hanno sostenuto la crescita dei bambini odierni e utilizzato loro internet.


Il contesto all’interno del quale le generazioni crescono conta eccome. Infatti i disagi più diffusi degli ultimi anni sono il disturbo della condotta alimentare femminile e il suo equivalente maschile: il ritiro sociale. Si tratti di modalità di soffrire che hanno a che fare con le richieste provenienti dai miti affettivi e culturali della nostra società. Sono disagi e patologie etniche, presenti solo in alcune regioni del nostro pianeta. Non esiste l’anoressia nei luoghi dove il cibo scarseggia, così come non esiste il fenomeno degli Hikikomori laddove il corpo dei figli non è sotto sequestro delle angosce adulte.

Il Lancini da tre consigli ai genitori di figli adolescenti:

  1. Alla sera a tavola chiedere ai figli “come è andata oggi in internet”, non solo interessarsi della scuola
  2. Condividere insieme ai figli il tema del dolore, della sofferenza, degli inciampi e della morte come parte costituente e creativa della vita.
  3. Smetterla di farsi attrarre dalle facili soluzioni sotto forma di ricette (tipo: “i 10 consigli per essere un bravo genitore”, “fate spegnare il cellulare la sera a cena a vostro figlio”) e interessarsi autenticamente a chi si ha davanti: ogni figlio/a è unico e non merita semplificazioni e una mamma e un papà “da ricetta”.

Che ne pensate? Parliamone, sul blog, sui social o veniteci a trovare sul camper Informabus!


Studenti: disagio e suicidi

Oggi vogliamo affrontare un tema tra i più spigolosi: i suicidi tra i giovani, in particolare tra gli studenti: 4 episodi nei primi 2 mesi del 2023 e quasi 15 negli ultimi 3 anni. Le motivazioni sembrano essere le stesse: il disagio derivante dalla pressione sociale e la paura di non essere all’altezza dei modelli di performance ed eccellenza imposti dalla nostra società.
La scuola e l’università sicuramente non sfuggono a queste logiche, anzi la direzione è chiara più che mai; addirittura il governo attuale ha cambiato il nome del ministero in questione da “ministero della pubblica istruzione” a “ministero dell’istruzione e del merito”. Bisogna però dire che gesti estremi come il suicidio non possono che avere varie motivazioni. Sicuramente la pandemia ha acuito il disagio rendendo più difficile costruire relazioni significative e genuine.


Negli scorsi mesi non pochi dei giovani suicidatisi avevano fatto credere alla famiglia di essere al pari con gli esami o addirittura di essere in prossimità della laurea.
Lo scorso luglio un iscritto della facoltà di Medicina in lingua inglese, dell’Università di Pavia, prima di togliersi la vita ha inviato un’email al Rettore in cui sottolineava la paura di perdere la borsa di studio e quindi la possibilità di vivere negli alloggi dell’ateneo.
E se fosse proprio la logica del costruire l’eccellenza ad essere foriera di problemi? L’essere fuoricorso, le tasse alte da pagare, il merito come criterio di assegnazione delle borse di studio che vincola il diritto allo studio, lo stress a cui gli studenti sono costretti a causa delle difficoltà nel trovare casa, visto che sono obbligati a spostarsi fuori città e pagare l’affitto per fare i pendolari.

Ai giovani viene chiesto di essere performanti, eccellenti, in regola con gli esami, molti non riescono a tenere il ritmo e ne soffrono, ma non tutti hanno il coraggio di chiedere aiuto.

Anche la pressione dei media ha il suo peso; dello studente si parla solo quando eccelle o quando non regge il fardello della sua sofferenza e si toglie la vita. A chi giova scrivere decine di articoli sullo studente record? Allo studente record e alla sua famiglia. Alla sua università privata, spesso, perché è una forma di marketing. A chi nuoce? A molti altri evidentemente, troppi per essere sepolti nel silenzio. Costruire l’eccellenza ha un prezzo. Ed è quello che gli studenti sono costretti a pagare tutti i giorni.


Informabus Vs Nazisti

In questi giorni si ricorda lo sterminio degli ebrei ad opera del regime nazista, l’olocausto, in cui si provò a sterminare chi apparteneva a questa religione.

Durante quegli anni furono perseguitate anche altre categorie di persone; oltre ai polacchi, a chi aveva idee politiche che si opponevano al regime, ai malati di mente ed ai disabili, furono perseguitate anche alcune categorie di persone che incontriamo nella nostra attività di unità di strada.

Da sempre il servizio Informabus si occupa di sessualità e promuove la consapevolezza ed il rispetto per la diversità degli orientamenti sessuali.
Gli omosessuali invece erano visti dai Nazisti come socialmente “devianti”. I Nazisti li consideravano un pericolo per le politiche naziste volte ad aumentare la natalità tedesca. Tra il 1933 e il 1945, circa 100.000 uomini furono arrestati in Germania ai sensi del Paragrafo 175 del Codice penale tedesco. Dei 50.000 uomini condannati come “vittime del § 175”, tra i 5.000 e 15.000 furono imprigionati nei campi di concentramento. Centinaia, forse migliaia, morirono a causa dei maltrattamenti.


Un altro dei temi di cui si occupa l’unità di strada è quello delle dipendenze e delle difficoltà che incontra chi ne è vittima; il regime nazista perseguiva anche gli “asociali”, ossia alcolisti e tossicodipendenti, disoccupati e senzatetto, beneficiari dell’assistenza sociale, prostitute, mendicanti. Quando nelle nostre attività entriamo in contatto con persone che hanno problemi di questo tipo li indirizziamo ai servizi socio sanitari che possono aiutarli.

Nelle nostre uscite pomeridiane e notturne sia in centro che in periferia spesso incontriamo ragazzi di etnia Rom; con alcuni di loro negli anni abbiamo costruito un rapporto di rispetto e di fiducia reciproca.
Durante il regime nazista invece vennero Rom e Sint additati come minaccia razziale e socialmente “devianti”.
Spesso definiti come “zingari”, i membri di questa minoranza etnica sono organizzati in gruppi distinti chiamati “tribù” o “nazioni”. I Sint erano generalmente predominanti in Germania e nell’Europa occidentale. I Rom provenivano principalmente dall’Austria e dall’Europa orientale e meridionale. Rom e Sint erano considerati dai Nazisti come “asociali” (cioè al di fuori della società considerata “normale”), di razza “inferiore”, e additati come la cosiddetta “piaga degli zingari”. Si stima che un milione di membri di questa minoranza vivesse in Europa prima della guerra. Fino a 250.000 di loro furono uccisi dalla Germania nazista e dai suoi collaboratori durante la guerra. Uomini, donne e bambini furono vittime del genocidio e inclusero sia Rom e Sint nomadi, il cui numero era in declino negli anni Trenta, sia le persone con fissa dimora in città e villaggi.

Nella Germania nazista alcuni individui identificati come “zingari” furono anche sterilizzati contro la loro volontà. Un ulteriore numero imprecisato di Rom e Sint fu imprigionato nei campi di concentramento perché considerato “asociale”.
Non dimentichiamo, vi aspettiamo sul camper o sui social per parlare anche di questo!