Tante volte ragazzi e ragazze saliti sul camper Informabus mi hanno chiesto se io, che parlavo loro di rischi legati all’uso e abuso di sostanze, fossi a favore della legalizzazione delle droghe, in particolare di quelle leggere; oggi affrontiamo proprio tale questione.                                                             

Il 7 maggio scorso, la Global Commission on Drug Policy ha pubblicato un nuovo rapporto sull’applicazione delle leggi sulla droga nel mondo.
Fondata da ex capi di Stato o di governo, da leader esperti e noti del mondo politico, economico e culturale, la Commissione è senza dubbio tra i più autorevoli soggetti internazionali in sostegno a politiche sulla droga basate su prove scientifiche, diritti umani, salute pubblica e sicurezza.

Ciò che emerge è che dopo cinquant’anni di approccio repressivo e “militarista”, la guerra alla droga ha fallito nel ridurre il consumo di sostanze stupefacenti e nel contrastare efficacemente il narcotraffico internazionale ed ha ulteriormente impoverito ed emarginato le fasce più deboli della popolazione.       

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Le 52 pagine, ricche di dati e analisi, del rapporto si traducono in un appello a tutti gli Stati affinché riconoscano l’inadeguatezza delle leggi repressive sul consumo e il possesso di sostanze e avviino riforme coraggiose in materia. Si invitano inoltre gli Stati a riconoscere la natura transnazionale delle organizzazioni criminali e a dotarsi di adeguati strumenti che consentano alle forze dell’ordine di coordinarsi a livello internazionale. Viene inoltre rilevato come la regolamentazione delle droghe, partendo proprio dai dati che arrivano dai Paesi che hanno legalizzato la cannabis, unitamente ad un approccio che dia priorità a salute, pubblica sicurezza e diritti umani, rappresenti “la via responsabile per indebolire la criminalità organizzata e al contempo per salvaguardare principi più ampi di giustizia, sviluppo e inclusione sociale ed economica”.

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La Commissione infrange quindi il tabù sulle conseguenze negative della cosiddetta “war on drugs”, chiedendo agli Stati membri del’ONU, e quindi anche all’Italia, un cambiamento di paradigma affinché si dia priorità alla tutela del cittadino attraverso interventi di prevenzione e di riduzione del danno e del rischio nel consumo di sostanze, e si abbandonino leggi repressive che colpiscono esclusivamente i consumatori.                                   

Daltronde è risaputo che le carceri sono piene di persone detenute per reati inerenti alle droghe: l’Italia con il 31,3% dei detenuti ristretti per violazione delle leggi sulla droga continua a essere come l’anno scorso il Paese del Consiglio d’Europa con il più alto numero di condannati in via definitiva per reati di droga. L’Italia stacca di più di 12 punti percentuali Spagna (19%) e Francia (18,3%), di quasi 20 punti la Germania (12,6%) e si mantiene ben oltre la media europea ferma al 18%.                                             

Se l’esito di questo rapporto venisse preso in considerazione, con i soldi risparmiati passando da un approccio repressivo ad uno preventivo, servizi come l’Unità di Strada Informabus potrebbero essere potenziati ed essere anche più efficaci. Chissà quando cambiera’ questo paradigma?

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