Informabus Vs Nazisti

In questi giorni si ricorda lo sterminio degli ebrei ad opera del regime nazista, l’olocausto, in cui si provò a sterminare chi apparteneva a questa religione.

Durante quegli anni furono perseguitate anche altre categorie di persone; oltre ai polacchi, a chi aveva idee politiche che si opponevano al regime, ai malati di mente ed ai disabili, furono perseguitate anche alcune categorie di persone che incontriamo nella nostra attività di unità di strada.

Da sempre il servizio Informabus si occupa di sessualità e promuove la consapevolezza ed il rispetto per la diversità degli orientamenti sessuali.
Gli omosessuali invece erano visti dai Nazisti come socialmente “devianti”. I Nazisti li consideravano un pericolo per le politiche naziste volte ad aumentare la natalità tedesca. Tra il 1933 e il 1945, circa 100.000 uomini furono arrestati in Germania ai sensi del Paragrafo 175 del Codice penale tedesco. Dei 50.000 uomini condannati come “vittime del § 175”, tra i 5.000 e 15.000 furono imprigionati nei campi di concentramento. Centinaia, forse migliaia, morirono a causa dei maltrattamenti.


Un altro dei temi di cui si occupa l’unità di strada è quello delle dipendenze e delle difficoltà che incontra chi ne è vittima; il regime nazista perseguiva anche gli “asociali”, ossia alcolisti e tossicodipendenti, disoccupati e senzatetto, beneficiari dell’assistenza sociale, prostitute, mendicanti. Quando nelle nostre attività entriamo in contatto con persone che hanno problemi di questo tipo li indirizziamo ai servizi socio sanitari che possono aiutarli.

Nelle nostre uscite pomeridiane e notturne sia in centro che in periferia spesso incontriamo ragazzi di etnia Rom; con alcuni di loro negli anni abbiamo costruito un rapporto di rispetto e di fiducia reciproca.
Durante il regime nazista invece vennero Rom e Sint additati come minaccia razziale e socialmente “devianti”.
Spesso definiti come “zingari”, i membri di questa minoranza etnica sono organizzati in gruppi distinti chiamati “tribù” o “nazioni”. I Sint erano generalmente predominanti in Germania e nell’Europa occidentale. I Rom provenivano principalmente dall’Austria e dall’Europa orientale e meridionale. Rom e Sint erano considerati dai Nazisti come “asociali” (cioè al di fuori della società considerata “normale”), di razza “inferiore”, e additati come la cosiddetta “piaga degli zingari”. Si stima che un milione di membri di questa minoranza vivesse in Europa prima della guerra. Fino a 250.000 di loro furono uccisi dalla Germania nazista e dai suoi collaboratori durante la guerra. Uomini, donne e bambini furono vittime del genocidio e inclusero sia Rom e Sint nomadi, il cui numero era in declino negli anni Trenta, sia le persone con fissa dimora in città e villaggi.

Nella Germania nazista alcuni individui identificati come “zingari” furono anche sterilizzati contro la loro volontà. Un ulteriore numero imprecisato di Rom e Sint fu imprigionato nei campi di concentramento perché considerato “asociale”.
Non dimentichiamo, vi aspettiamo sul camper o sui social per parlare anche di questo!


L’amore e la paura

Avrete sentito della storia di qualche settimana fa della ragazza di Castelfiorentino cacciata di casa perchè lesbica, con la madre che le ha augurato un tumore oltre ad aver dichiarato che preferiva che la figlia fosse drogata piuttosto che omosessuale, perchè perlomeno nel primo caso c’è una cura. L’avrebbe anche minacciata di ucciderla se fosse tornata perchè “meglio 50 anni di galera che una figlia lesbica”.

Questa la reazione della sua famiglia alla lettera con cui ha scelto di fare “coming out”. Poichè la ragazza aveva paura della reazione dei suoi, ha preferito scrivere una lettera nella quale chiedeva loro di starle accanto e l’ha lasciata nel cassetto della mamma, la mattina prima di uscire per andare a lavoro. Una volta tornata da lavoro però i genitori non le hanno aperto più la porta di casa, cosi non ha potuto piu neanche prendere le sue cose, ha perso tutto, lei che prima di dire di essere gay aveva un ottimo rapporto con la madre. Ciònonostante Malika non si è pentita ed è giustamente fiera di essere stata cosi coraggiosa da fare comunque la cosa giusta, seguendo il suo cuore.

Come spiegare questo voltafaccia cosi violento, se non con la paura che ha invaso i genitori della ragazza toscana? Paura della diversità? Come se fosse cosi diverso vivere con una persona ed amarla solo perchè è attratta da persone dello stesso sesso, invece che del sesso opposto. Paura di ciò che non si conosce…Paura del giudizio degli altri? Cosa diranno i vicini, i parenti, gli amici? Paura che, nel caso dei genitori della coraggiosa ragazza , acceca e copre, supera, neutralizza l’amore, anche quello per una figlia. Invece l’amore di Malika, forse reso ancora più forte e limpido dal suo venire allo scoperto, fa si che lei stessa sia riuscita a dimostrare compassione nei confronti di sua madre e suo padre; la figlia reietta ha infatti chiesto di non odiare i suoi genitori, capendo che anche loro hanno bisogno di aiuto.

Purtroppo esistono ancora molte storie come questa, di giovani vittime che come Malika sono state rifiutate dalla loro famiglia fino ad essere cacciate di casa e questo mette ancora una volta in luce quanto sia necessario provvedere a infrastrutture sociali in grado di sostenerle, accoglierle, accompagnarle. Altra necessità messa in luce da queste storie è quella di approvare il Ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia da mesi in attesa di approvazione in Senato, provvedimento tenuto in ostaggio dai partiti di destra e centrodestra. Voi che ne pensate?


Pillola abortiva, si o no?

Qualcuno che sta leggendo quest’articolo per caso sabato scorso 6 febbraio è passato in piazza Roma verso le 17:00? Se la risposta è affermativa allora sicuramente avrà visto tanta gente con striscioni, cartelli e bandiere.

Si trattava di persone molto diverse tra loro: c’erano ragazze, famiglie con bambini e passeggini, adulti, anziani, punk con creste e borchie; tutti però condividevano la voglia, l’urgenza di protestare contro la decisione della regione Marche di non accettare le nuove linee guida del Ministero della Salute sull’aborto farmacologico, che allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza e annullano l’obbligo di ricovero (anche day hospital) in seguito all’assunzione della pillola Ru486 permettendo anche ai consultori di effettuare la somministrazione.

Innanzitutto cerchiamo di capire di che farmaco stiamo parlando: la pillola RU486 è un antiprogestinico di sintesi utilizzato come farmaco ( in associazione con una prostaglandina) per indurre l’interruzione della gravidanza farmacologica; il farmaco, che si assume per via orale, è stato introdotto in Italia dopo una lunga battaglia solo nel 2009. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali (l’aborto per aspirazione, ad esempio), la RU-486: ——— non richiede intervento chirurgico e anestesia, non rende indispensabile da un punto di vista clinico l’ospedalizzazione (che è comunque prevista normativamente in alcuni Stati) – —— non comporta i rischi legati alle complicazioni possibili dell’intervento chirurgico (rottura dell’utero, lacerazioni del collo dell’utero, emorragie ecc.); – può essere utilizzata nelle prime settimane di gravidanza, mentre l’aspirazione viene eseguita generalmente dopo la 7° settimana (interrompendo lo sviluppo dell’embrione in una fase precedente si ottiene il duplice risultato di interrompere la gravidanza in un momento in cui lo statuto di persona è difficilmente sostenibile e di ridurre le complicazioni per la donna).

Attualmente la pillola della discordia è in uso in tutti gli Stati dell’Unione Europea, ad eccezione della Polonia e della Lituania, oltre che dell’Irlanda e di Malta (paesi nei quali l’aborto è vietato). Per quanto attiene il resto del mondo, come nell’UE anche negli Usa, in molti paesi dell’Europa dell’est, in India, in Cina e in quasi tutti i Paesi dove l’aborto è legale, decine di milioni di donne hanno abortito volontariamente con questo metodo, che è considerato sicuro ed efficace dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per capire meglio la questione bisogna tenere in considerazione il contesto in cui questa nuova situazione si innesta; nonostante l’aborto sia legale nel nostro paese dal 1978, (grazie alla legge 194) una parte dei cittadini per questioni etico-religiose non è daccordo con questa pratica. Padronissimi, per carità, ma dal non volersi avvalere di un diritto a voler negare agli altri di poterlo fare ce ne passa, eh? In Italia l’obiezione di coscienza sul tema (ginecologi che si rifiutano di eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza) è in media è del 70%, le Marche sono su quelle cifre, e il numero sta crescendo sempre più: continuando cosi, cosa succederà tra qualche anno?

A preoccupare è prima di tutto un dato: l’aborto clandestino esiste ancora. Lo ammette lo stesso Ministero della Salute, che, nella sua ultima relazione al Parlamento (gennaio 2019) approssimava una stima (ma non dati certi, trattandosi di una pratica illegale): tra le 10 e le 13 mila donne ogni anno ancora vi ricorrono. Che senso ha allora rendere ulteriormente difficile la via già difficile di chi sceglie di interrompere una gravidanza non desiderata? Molto probabilmente spesso si tratta di una scelta già difficile e sofferta.

Pertanto invece di mettere i bastoni tra le ruota a chi si trova in una situazione già difficile, forse sarebbe meglio cercare di lavorare sulla prevenzione, con informazioni e contraccezione: proprio quello che facciamo noi sul camper dell‘Unità di Strada Informabus! Venite a trovarci per dire la vostra, oppure commentate quest’articolo!