Yoga a scuola

ll 5 ottobre è stato pubblicato il Rapporto dell’Unicef intitolato La Condizione dell’infanzia nel mondo – Nella mia mente: promuovere, tutelare e sostenere la salute mentale dei bambini e dei giovani. Le prime stime che ne emergono sono a dir poco allarmanti.

A parlare sono numeri inquietanti: più di un adolescente su 7 (in prevalenza maschio), tra i 10 e i 19 anni, secondo i dati presenta un disturbo mentale diagnosticato (89 milioni, contro i 77 milioni di ragazze). Questo porta quasi 46mila adolescenti ogni anno a togliersi la vita.

Proprio il suicidio è una fra le prime cinque cause di morte nei giovanissimi tra 15 e 19 anni, ma in Europa occidentale diventa la seconda, con 4 casi su 100mila, dopo gli incidenti stradali. La pandemia ha fatto registrare un raddoppio dei tentati suicidi tra gli adolescenti.

Lo Yoga può rappresentare un percorso pedagogico alternativo per aiutare il giovane nel suo sviluppo di crescita individuale. Introdurre nei PTOF (piani triennali di offerta formativa) lo Yoga aiuterebbe i giovani a imparare a relazionarsi con gli altri grazie all’empatia e alla consapevolezza, che matura e affiora a mano a mano che si pratica la disciplina. È un percorso di crescita che conduce al rispetto di sé stessi e degli altri.

Cos’è lo yoga (in breve)

Lo yoga è una pratica indiana millenaria che mira al raggiungimento di un equilibrio e un benessere psicofisico permettendo l’integrazione dei vari piani dell’esistenza umana. La parola “yoga” deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa: ‘giogo’, ‘aggiogare’, ossia mettere insieme la mente, il corpo e lo spirito. Sebbene esistano diversi tipi di yoga, le pratiche si concentrano tipicamente sulle posizioni fisiche (asana), sulle tecniche di respirazione (pranayama) e sulla concentrazione e meditazione (dhyana).

L’adolescenza, si sa, è una fase delicata e complessa, caratterizzata da cambiamenti non solo fisici ma anche emotivi, psicologici e sociali. Solitamente, un figlio adolescente viene descritto come irascibile, impulsivo, in perenne conflitto con i genitori e incurante delle regole. A determinare l’insorgenza di rabbia, stress, ansia o depressione, concorrono spesso le trasformazioni ed eventi di vita che possono aumentare la vulnerabilità di ragazzi e ragazze. Diversi studi effettuati nel corso degli anni hanno dimostrato che lo yoga in adolescenza offre una serie incredibile di benefici, ponendosi come un supporto estremamente valido a livello mentale, emotivo e fisico.

Grazie allo yoga educativo in maniera trasversale alle altre discipline viene favorita la crescita del giovane anche da un punto di vista educativo. Sono ormai riconosciuti gli effetti benefici della disciplina, capace di:

  • stimolare e rinvigorire i processi di apprendimento quali la concentrazione e la memoria;
  • rafforza le energie della crescita:
  • favorisce il rispetto verso sé stessi e gli altri aiuta a prevenire situazioni di disagio o episodi di bullismo;
  • favorisce lo sviluppo di una personalità equilibrata;
  • favorisce il valore della propria personalità che non deve omologarsi intellettualmente.

Sono maturi i tempi per vedere la scuola non solo come luogo di apprendimento nozionistico, bensì luogo atto anche ad insegnare ai giovani come prendersi cura di sé stessi e delle proprie emozioni.

Insegnare ad ascoltarsi può essere una strada concreta per aiutare i giovani ad avere strumenti reali per gestire la rabbia, la tensione, i conflitti che possono vivere nel loro cammino verso il mondo adulto.

Secondo la comunità scientifica, lo yoga integrato nelle attività scolastiche apporta un contributo significativo nell’alleviare lo stress, l’ansia, migliorare l’umore e le capacità di autoregolazione emotiva. Oltre a un incrementato dei livelli di autostima e consapevolezza di sé tra i ragazzi alle scuole superiori, migliora anche le loro capacità cognitive

In Italia, esiste da anni la possibilità per le scuole di aderire su base volontaria al Protocollo d’Intesa attivo dal 1998 (e rinnovato nel 2015) tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e la Federazione Italiana Yoga (FIY) per l’insegnamento dello yoga in tutte le scuole pubbliche italiane. Il Protocollo prevede che a insegnare lo yoga nelle scuole italiane di ogni ordine e grado – da quelle dell’infanzia fino alle superiori, sia come materia curriculare che extracurriculare – siano gli insegnanti che appartengono all’Albo professionale della Federazione Italiana Yoga (FIY).  Dunque muoviamoci, rendiamo concreta questa possibilità, cosa aspettiamo?


adolescenti di oggi

L’articolo di oggi prende spunto da un recente laboratorio all’interno di un ciclo di formazione promosso dal Comune di Ancona sugli adolescenti.
Ad un certo punto il relatore ci ha fatto dividere in gruppi chiedendoci di descrivere i ragazzi e le ragazze di oggi, cercando però i lati positivi, per non scadere nel giudizio, cosa assai facile per un adulto.
Le caratteristiche peculiari venute fuori sono state le seguenti:
-bisogno di essere accettati dai coetanei
– una propensione al rispetto della diversità in generale (sessuale, etnica, di diverse
abilità)
– solidarietà tra pari e forte senso di giustizia
– rispetto alle generazioni precedenti un minor senso dell’autorità con conseguente minor rispetto nei confronti degli
adulti
– differente modalità di esprimersi, sono più coincisi
– maggior proiezione all’esterno piuttosto che all’interno, nel senso che sono più in grado di vedere e capire gli altri che sè stessi
– bisogno di far parte di un gruppo, che però è spesso solo virtuale, nella realtà faticano a trovarlo.
Ragionando su questi peculiarità sembrerebbe che, a parte la prima caratteristica (che avevamo già sottolineato prima che il formatore ci ricordasse di evidenziare solo gli aspetti positivi), in fondo forse i giovani di oggi sono una versione più evoluta della generazione precedente, cosi come la mia era più evoluta di quella dei miei genitori, e quella dei miei genitori era più evoluta di quella dei miei nonni, e via dicendo…

Certo, tralasciando le caratteristiche negative non può non emergere un profilo positivo che fa ben sperare e per un attimo fa accantonare tutta la preoccupazione e paura per il disagio adolescenziale di oggi.  Ma la realtà è che sono aumentate le minacce di suicidio e i comportamenti autolesivi, i disturbi del comportamento alimentare, i conflitti fra genitori e figli, i ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla scuola e dalla vita sociale e tante altre manifestazioni di sofferenza psichica adolescenziale. Tutti i Servizi per l’età evolutiva sono alle prese con un eccezionale numero di richieste di intervento, alcuni dei quali molto preoccupanti. Rispetto alle generazioni precedenti secondo Matteo Lancini presidente dell’associazione Minotauro di Milano, docente di psicologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca gli adolescenti hanno perso la tendenza a trasgredire e a opporsi agli adulti ed esprimono il proprio disagio e le sofferenze evolutive attaccando sé stessi e il proprio corpo. In passato prevalevano manifestazioni sintomatiche legate alla difficoltà nell’accettazione del corpo erotico e sessuale. Ora la sofferenza ha a che fare con il corpo estetico, e infatti non si percepiscono mai sufficientemente belli, e la mancanza di notorietà, cioè non ci si sente mai abbastanza popolari. Gli adulti, difensivamente, accusano internet, ma la società degli iper-ideali e del “successo a tutti i costi” non è attribuibile solo alla rete. Internet è un ambiente che ha amplificato miti affettivi e modelli di identificazione adulti che transitano quotidianamente anche da altri mass-media e, soprattutto, dalla quotidianità dei nostri atteggiamenti.

In adolescenza non si soffre esclusivamente per ciò che è accaduto in passato, ma soprattutto per ciò che si percepisce non potrà accadere. La sofferenza, il disagio adolescenziale dipende moltissimo dall’assenza di prospettive future. Il dolore deriva dalla sensazione di non poter realizzare i propri compiti evolutivi, di non riuscire a costruirsi una propria identità, di non intravedere la possibilità di realizzazione di sé e di sé nella società di cui si fa parte. Lascio al lettore l’analisi di ciò che è accaduto negli ultimi anni rispetto al pianeta, ai mari, all’atmosfera e all’economia. Ci sono stati adulti che hanno fatto pensare ai giovani che stessimo pensando a loro e al loro futuro? Ognuno risponderà come crede a questa domanda, magari anche cosi: “Ma chi se ne frega dei giovani e del loro futuro”.

L’adolescenza è una “seconda nascita”. A questa età si è chiamati, in primis dalla biologia, a realizzare dei nuovi compiti evolutivi, ad accettare trasformazioni del corpo non richieste e a lavorare mentalmente sui processi di separazione e individuazione. Se il corpo portato in dote dal cambiamento puberale non ti piace, se senti di non riuscire a realizzare i processi separativi dai tuoi genitori, se non riesci a investire nel ruolo di studente e ad avere una presenza riconosciuta all’interno del gruppo dei coetanei, soffri enormemente. Il blocco evolutivo dipende moltissimo dal sistema di rappresentazione del ragazzo o della ragazza, dai propri vissuti e dal proprio modo di guardare a sé stessi e alla propria realizzazione. Rappresentazioni proprie ma costruite all’interno di un contesto familiare, scolastico e sociale. Quando un adolescente è incastrato nel canale del parto della seconda nascita è meglio trattare seriamente la vicenda, non banalizzare: “Ma si, cosa vuoi che sia, passerà”; “Non dire stupidate, sei bellissima”. Sono risposte difensive provenienti da adulti troppo fragili per poter diventare qualcuno a cui chiedere aiuto, per poter essere un riferimento davvero autorevole per un adolescente.

Sempre secondo il prof. Lancini quello su cui ci troveremo a interrogarci maggiormente nei prossimi anni sia proprio quello relativo al progressivo disinteresse verso la sessualità. Agli adolescenti interessa sempre di più essere presente nella mente dell’altro, non di compenetrarne il corpo. La precocizzazione di bambini e bambine, che si vestono come ci vestivamo noi negli ultimi anni delle scuole superiori, non deve far pensare a un debutto anticipato del rapporto sessuale completo e a un desiderio senza freni. La società del futuro è fatta di compenetrazione nella mente dell’altro, il piacere è nell’essere sempre presenti nei pensieri dei tuoi coetanei. Per questo già ora contano di più i selfie e il sexting che il rapporto sessuale completo. Anche qui non è responsabilità di internet ma di come gli adulti hanno sostenuto la crescita dei bambini odierni e utilizzato loro internet.


Il contesto all’interno del quale le generazioni crescono conta eccome. Infatti i disagi più diffusi degli ultimi anni sono il disturbo della condotta alimentare femminile e il suo equivalente maschile: il ritiro sociale. Si tratti di modalità di soffrire che hanno a che fare con le richieste provenienti dai miti affettivi e culturali della nostra società. Sono disagi e patologie etniche, presenti solo in alcune regioni del nostro pianeta. Non esiste l’anoressia nei luoghi dove il cibo scarseggia, così come non esiste il fenomeno degli Hikikomori laddove il corpo dei figli non è sotto sequestro delle angosce adulte.

Il Lancini da tre consigli ai genitori di figli adolescenti:

  1. Alla sera a tavola chiedere ai figli “come è andata oggi in internet”, non solo interessarsi della scuola
  2. Condividere insieme ai figli il tema del dolore, della sofferenza, degli inciampi e della morte come parte costituente e creativa della vita.
  3. Smetterla di farsi attrarre dalle facili soluzioni sotto forma di ricette (tipo: “i 10 consigli per essere un bravo genitore”, “fate spegnare il cellulare la sera a cena a vostro figlio”) e interessarsi autenticamente a chi si ha davanti: ogni figlio/a è unico e non merita semplificazioni e una mamma e un papà “da ricetta”.

Che ne pensate? Parliamone, sul blog, sui social o veniteci a trovare sul camper Informabus!


Studenti: disagio e suicidi

Oggi vogliamo affrontare un tema tra i più spigolosi: i suicidi tra i giovani, in particolare tra gli studenti: 4 episodi nei primi 2 mesi del 2023 e quasi 15 negli ultimi 3 anni. Le motivazioni sembrano essere le stesse: il disagio derivante dalla pressione sociale e la paura di non essere all’altezza dei modelli di performance ed eccellenza imposti dalla nostra società.
La scuola e l’università sicuramente non sfuggono a queste logiche, anzi la direzione è chiara più che mai; addirittura il governo attuale ha cambiato il nome del ministero in questione da “ministero della pubblica istruzione” a “ministero dell’istruzione e del merito”. Bisogna però dire che gesti estremi come il suicidio non possono che avere varie motivazioni. Sicuramente la pandemia ha acuito il disagio rendendo più difficile costruire relazioni significative e genuine.


Negli scorsi mesi non pochi dei giovani suicidatisi avevano fatto credere alla famiglia di essere al pari con gli esami o addirittura di essere in prossimità della laurea.
Lo scorso luglio un iscritto della facoltà di Medicina in lingua inglese, dell’Università di Pavia, prima di togliersi la vita ha inviato un’email al Rettore in cui sottolineava la paura di perdere la borsa di studio e quindi la possibilità di vivere negli alloggi dell’ateneo.
E se fosse proprio la logica del costruire l’eccellenza ad essere foriera di problemi? L’essere fuoricorso, le tasse alte da pagare, il merito come criterio di assegnazione delle borse di studio che vincola il diritto allo studio, lo stress a cui gli studenti sono costretti a causa delle difficoltà nel trovare casa, visto che sono obbligati a spostarsi fuori città e pagare l’affitto per fare i pendolari.

Ai giovani viene chiesto di essere performanti, eccellenti, in regola con gli esami, molti non riescono a tenere il ritmo e ne soffrono, ma non tutti hanno il coraggio di chiedere aiuto.

Anche la pressione dei media ha il suo peso; dello studente si parla solo quando eccelle o quando non regge il fardello della sua sofferenza e si toglie la vita. A chi giova scrivere decine di articoli sullo studente record? Allo studente record e alla sua famiglia. Alla sua università privata, spesso, perché è una forma di marketing. A chi nuoce? A molti altri evidentemente, troppi per essere sepolti nel silenzio. Costruire l’eccellenza ha un prezzo. Ed è quello che gli studenti sono costretti a pagare tutti i giorni.


Pandemia e guerra

Oggi, prendendo spunto da ciò che ci hanno raccontato ragazzi e ragazze incontrati nelle ultime uscite del camper Informabus, approfondiamo le conseguenze psicologiche della situazione attuale; nell’epoca della globalizzazione, un evento della portata dell’attacco russo all’Ucraina implica ripercussioni su larga scala, sociali e psicologiche, oltre che economiche. A maggior ragione se sopraggiunge al culmine di due anni di pandemia.

Come afferma Claudio Mencacci, medico psichiatra e Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia «il confitto dopo la pandemia deprime e disorienta», «la continua esposizione all’imprevedibilità, prima del virus, ora degli scenari di combattimenti alle porte, genera una profonda reazione di ansia».

Uno choc che mette a dura prova la salute mentale dell’intera popolazione mondiale, già minata dalle conseguenze della diffusione del Coronavirus. Paura del futuro, ansia e incertezze, uniti all’infodemia, colpiscono i meccanismi di difesa della persona scatenando diverse manifestazioni fisiche di questo malessere: irritabilità, sbalzi d’umore, inappetenza o – al contrario – eccessivo appetito, disturbi gastrointestinali, mal di testa, tensioni muscolari e disturbi del sonno sono campanelli d’allarme da non sottovalutare. Essere sottoposti a periodi prolungati di stress azzera le nostre risorse fisiche, emotive e mentali.

Affrontare, nel 2022, una tematica come la guerra è complicato e doloroso per gli adulti, e lo è a maggior ragione per bambini e ragazzi. Dopo aver provato, per due anni, a spiegare ai più giovani il significato di pandemia, i genitori si trovano oggi di fronte a un nuovo scoglio. Come spiega lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai, il rischio quasi inevitabile è di trasmettere a chi sta crescendo l’idea che il mondo non sia un luogo sicuro in cui nascere e crescere.

Oltre all’ansia e alla paura, tra gli effetti di questi eventi sulla nostra psiche c’è anche lo svilupparsi di uno stato di apatia, da considerarsi campanello d’allarme al pari degli altri sintomi. Prima la pandemia e ora la guerra hanno generato in noi un carico emotivo molto pesante, che non tutti sono in grado di gestire senza conseguenze. Per questo non bisogna chiudersi nel silenzio ma è invece importante riconoscere le difficoltà e affidarsi alle mani esperte dei professionisti, per poter aiutare sé stessi e, quindi, essere in grado di sostenere il prossimo.

La Sinpia – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, esprime profonda preoccupazione per gli effetti della guerra in Ucraina sulla salute fisica, mentale e sociale dei soggetti più fragili come sono i bambini e gli adolescenti. E’ infatti raddoppiato il numero dei bambini con bisogno di supporto specialistico, e con un aumento di rabbia, noia, difficoltà di concentrazione, senso di solitudine e di impotenza, stress, disturbi del sonno.

Un altro problema che dovremo affrontare sarà quello relativo con all’aumento dell’arrivo di bambini profughi e/o orfani provenienti dalle zone coinvolte nel conflitto. Si tratta di bambini traumatizzati cui è stato negato il futuro e che rischiano di essere ulteriormente traumatizzati da sistemi di accoglienza inadatti. Bambini che incontreranno altri bambini, i nostri figli, che pure si interrogheranno sul perché di questa tragedia e su come saremo capaci di dare risposte. A tutti dovremo pensare e a tutti dovremo insegnare come vivere in pace.


L’amore e la paura

Avrete sentito della storia di qualche settimana fa della ragazza di Castelfiorentino cacciata di casa perchè lesbica, con la madre che le ha augurato un tumore oltre ad aver dichiarato che preferiva che la figlia fosse drogata piuttosto che omosessuale, perchè perlomeno nel primo caso c’è una cura. L’avrebbe anche minacciata di ucciderla se fosse tornata perchè “meglio 50 anni di galera che una figlia lesbica”.

Questa la reazione della sua famiglia alla lettera con cui ha scelto di fare “coming out”. Poichè la ragazza aveva paura della reazione dei suoi, ha preferito scrivere una lettera nella quale chiedeva loro di starle accanto e l’ha lasciata nel cassetto della mamma, la mattina prima di uscire per andare a lavoro. Una volta tornata da lavoro però i genitori non le hanno aperto più la porta di casa, cosi non ha potuto piu neanche prendere le sue cose, ha perso tutto, lei che prima di dire di essere gay aveva un ottimo rapporto con la madre. Ciònonostante Malika non si è pentita ed è giustamente fiera di essere stata cosi coraggiosa da fare comunque la cosa giusta, seguendo il suo cuore.

Come spiegare questo voltafaccia cosi violento, se non con la paura che ha invaso i genitori della ragazza toscana? Paura della diversità? Come se fosse cosi diverso vivere con una persona ed amarla solo perchè è attratta da persone dello stesso sesso, invece che del sesso opposto. Paura di ciò che non si conosce…Paura del giudizio degli altri? Cosa diranno i vicini, i parenti, gli amici? Paura che, nel caso dei genitori della coraggiosa ragazza , acceca e copre, supera, neutralizza l’amore, anche quello per una figlia. Invece l’amore di Malika, forse reso ancora più forte e limpido dal suo venire allo scoperto, fa si che lei stessa sia riuscita a dimostrare compassione nei confronti di sua madre e suo padre; la figlia reietta ha infatti chiesto di non odiare i suoi genitori, capendo che anche loro hanno bisogno di aiuto.

Purtroppo esistono ancora molte storie come questa, di giovani vittime che come Malika sono state rifiutate dalla loro famiglia fino ad essere cacciate di casa e questo mette ancora una volta in luce quanto sia necessario provvedere a infrastrutture sociali in grado di sostenerle, accoglierle, accompagnarle. Altra necessità messa in luce da queste storie è quella di approvare il Ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia da mesi in attesa di approvazione in Senato, provvedimento tenuto in ostaggio dai partiti di destra e centrodestra. Voi che ne pensate?


La capacità di prendere decisioni e le altre life skills

Tante volte sul camper mi trovo a parlare con le ragazze ed i ragazzi dell’importanza della consapevolezza nelle scelte che fanno riguardo ai comportamenti a rischio. Fare sesso occasionale con o senza preservativo, provare una sostanza o non provarla, o piu semplicemente bere alcolici a stomaco vuoto o pieno può cambiare non solo una serata, ma anche un’intera esistenza.

La “capacità di prendere decisioni” rientra nel novero delle 10 “life skills”, l’insieme di abilità sociali, cognitive e personali che consentono di affrontare positivamente le richieste e le sfide che ci riserva la vita quotidiana. Vediamole un pò nel dettaglio:

  1. la capacità di prendere decisioni ovvero decision making: saper elaborare in modo attivo il processo decisionale sostenendo la decisione più opportuna;
  2. la capacità di risolvere i problemi  (il problem solving) saper risolvere in modo costruttivo i problemi e le criticità;
  3. il pensiero creativo, cioè l’abilità di trovare soluzioni alternative alle svariate situazioni che si presentano nella vita. Essa ha un ruolo importante nella richiestissima capacità di problem solving;
  4. il senso critico: la capacità di ri-elaborare in modo autonomo e oggettivo situazioni e avvenimenti; il pensiero critico potrebbe sostenere moltissimo i giovani a contrastare e gestire meglio quelli che sono gli innegabili “rischi” che si celano in un utilizzo “non etico della Rete internet”;
  5. la comunicazione efficace: sapersi esprimere in modo efficace nelle diverse situazioni, saper esprimere sentimenti, bisogni e stati d’animo in modo appropriato, essere in grado di ascoltare l’altro;
  6. la capacità di relazionarsi con gli altri, ossia l’abilità di stabilire e mantenere relazioni significative in modo positivo e saper interrompere relazioni, se necessario, in modo costruttivo e non violento;
  7. la conoscenza di sé, delle proprie abilità, dei propri punti di forza e di debolezza e dei propri bisogni;
  8. l’empatia ossia la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, cioè di ascoltare senza pre-giudizi, cercando di capire il punto di vista dell’altro;
  9.  la gestione delle emozioni: consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di gestione delle stesse in un contesto multiplo;
  10. la gestione dello stress ovvero la capacità di riconoscere le cause che creano tensione, di saper mettere in atto dei cambiamenti, di sapersi adattare alle situazioni.

Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree:

  • EMOTIVE- consapevolezza di sè, gestione delle emozioni, gestione dello stress
  • RELAZIONALI – empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci
  • COGNITIVE – risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo

Ormai quasi 30 anni fa, nel 1993, per la prima volta il Dipartimento di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva confermato tali abilità psicosociali quali competenze privilegiate per promuovere l’educazione alla salute nell’ambito scolastico e, prima ancora, nell’ambito personale.

Sempre secondo l’OMS la fascia di età adatta per cominciare ad apprendere tali competenze sia tra i 6 e16 anni, periodo in cui eventuali comportamenti a rischio non sono ancora cristallizzati. Ma queste abilità sono importanti in tutte le fasi della vita di una persona e in ogni contesto, a scuola, in ambiente lavorativo, ma in generale nella vita quotidiana. Possedere adeguate competenze interpersonali, ad esempio, ti permette di avere relazioni migliori perché basate sulle interazioni sicure e scambi basati sul reciproco rispetto. Nelle scuole spesso vengono trasmesse competenze che riguardano le materie di studio, ma l’arte di “imparare a vivere” è spesso relegata al “fai da te.” Oppure se sei fortunato, ti imbatti nel servizio Informabus che nei suoi progetti negli istituti superiori, e durante le sue uscite per le strade e per le piazze di Ancona ha spesso parlato ai ragazzi con cui è venuto in contatto.

Volete approfondire il discorso? Commentate l’articolo, oppure scriveteci ai nostri account facebook o instagram, o se preferite vi aspettiamo sul nostro camper colorato che gira per la città!


Quale libertà per i diritti lgbtiq?

Uno degli argomenti che a volte emergono nei dialoghi che il servizio Informabus ha con i ragazzi e le ragazze che si avvicinano all’unità di strada è quello dell’omosessualità. Ad esempio quando si parla di preservativi capita che uno dei ragazzi prenda in giro un altro del gruppo dicendo che lui il preservativo lo utilizza con persone dello stesso sesso. Probabilmente si tratta di uno scherzo bonario che però riflette ancora una mentalità discriminatoria nei confronti di orientamenti sessuali minoritari. In queste circostanze non perdiamo occasione per parlare dell’importanza del rispetto per chi vive la propria sessualità in maniera diversa.

Non dimentichiamo che solo nel 1973 l’American Psychiatric Association rimosse l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, negando così la sua precedente definizione di omosessualità come disordine mentale. Oggi, perlomeno nella maggior parte dei paesi l’essere gay o lesbiche non è più punito dalla legge, ma ancora d’altra parte, molte nazioni del Medio Oriente e africane, così come vari stati asiatici, caraibici e sudpacifici, ritengono l’omosessualità illegale. In sei nazioni il comportamento omosessuale è punibile con l’ergastolo; in altre dieci la pena può giungere alla morte.

Secondo Wikipedia l’omosessualità è una variante naturale del comportamento animale che comporta l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso. Nella definizione di  orientamento sessuale, l’omosessualità viene collocata nel continuum etero-omosessuale della sessualità umana, riscontra in molte specie animali e in molte antiche culture le relazioni omosessuali erano altamente diffuse.

Tornando ai nostri giorni ci piace riportare la notizia che pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che dichiara i Paesi Ue “zona di libertà” per le persone “Lgbtiq”, ovvero  lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali e queer. Si tratta di un atto simbolico per denunciare tutte le forme di violenza e discriminazione fondate sul sesso o l’orientamento sessuale delle persone, nonchè per prendere posizione contro ciò che sta accadendo in Polonia ed Ungheria. Nel documento approvato dall’europarlamento viene sottolineato che dal marzo 2019 più di 100 regioni, distretti e comuni polacchi si sono autodefiniti zone libere dalla cosiddetta ideologia LGBTIQ e che nel novembre 2020 la città ungherese di Nagykáta ha approvato una risoluzione che vieta la “diffusione e promozione della propaganda LGBTIQ”.

Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro questa documento, ma daltronde non c’è da stupirsene viste le ideologie xenofobe ed intolleranti da cui provengono i due partiti della destra radicale italiana. Non a caso sempre La Lega e Fratelli d’Italia si sono anche opposti alla legge contro l’omofobia approvata alla Camera, ma non in Senato, che punirebbe col carcere chi commette violenza o incita a farlo sulla base dell’orientamento sessuale. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una legge che tuteli in modo adeguato e specifico la comunità Lgbtqi. Secondo alcuni, a quanto pare, non c’è questa necessità.

Ma la realtà qual’è? Ogni anno nel “bel paese” si verificano da 100 a 200 casi di violenza e discriminazione nei confronti di appartenenti alla comunità lgbtiq, Nei registri delle associazioni LGBTQI dell’Italia settentrionale la metà degli iscritti viene dal Sud. Vuol dire che è altissima la percentuale di persone che abbandonano le proprie case, le proprie città, il proprio mondo nelle regioni del Sud per fuggire al Nord e sfuggire a pregiudizi e violenze. Si va  dalle aggressioni, agli adescamenti a scopo di rapina, ricatto o estorsione, poi ci sono violenze familiari,  discriminazioni o insulti in luoghi pubblici, come bar o ristoranti, scritte infamanti su muri, auto, abitazioni, infine hate speech e di incitazione all’odio.

Sapete qual’è la percentuale di gay in Italia sulla popolazione totale? Il 5% dei nostri concittadini è gay e lo 0,1 trans. Ve l’aspettavate una cifra cosi? Io sinceramente no, sarà perche’ ancora, anche se meno di qualche anno fa, gli omosessuali e gli altri lgbtiq sono vittime di violenza e discriminazione, e non sono affatto incentivati a mostrare i loro sentimenti ed il loro modo di essere. Sarebbe ora nel 2021 no? Voi che ne pensate?


Pillola abortiva, si o no?

Qualcuno che sta leggendo quest’articolo per caso sabato scorso 6 febbraio è passato in piazza Roma verso le 17:00? Se la risposta è affermativa allora sicuramente avrà visto tanta gente con striscioni, cartelli e bandiere.

Si trattava di persone molto diverse tra loro: c’erano ragazze, famiglie con bambini e passeggini, adulti, anziani, punk con creste e borchie; tutti però condividevano la voglia, l’urgenza di protestare contro la decisione della regione Marche di non accettare le nuove linee guida del Ministero della Salute sull’aborto farmacologico, che allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza e annullano l’obbligo di ricovero (anche day hospital) in seguito all’assunzione della pillola Ru486 permettendo anche ai consultori di effettuare la somministrazione.

Innanzitutto cerchiamo di capire di che farmaco stiamo parlando: la pillola RU486 è un antiprogestinico di sintesi utilizzato come farmaco ( in associazione con una prostaglandina) per indurre l’interruzione della gravidanza farmacologica; il farmaco, che si assume per via orale, è stato introdotto in Italia dopo una lunga battaglia solo nel 2009. Rispetto ai metodi abortivi tradizionali (l’aborto per aspirazione, ad esempio), la RU-486: ——— non richiede intervento chirurgico e anestesia, non rende indispensabile da un punto di vista clinico l’ospedalizzazione (che è comunque prevista normativamente in alcuni Stati) – —— non comporta i rischi legati alle complicazioni possibili dell’intervento chirurgico (rottura dell’utero, lacerazioni del collo dell’utero, emorragie ecc.); – può essere utilizzata nelle prime settimane di gravidanza, mentre l’aspirazione viene eseguita generalmente dopo la 7° settimana (interrompendo lo sviluppo dell’embrione in una fase precedente si ottiene il duplice risultato di interrompere la gravidanza in un momento in cui lo statuto di persona è difficilmente sostenibile e di ridurre le complicazioni per la donna).

Attualmente la pillola della discordia è in uso in tutti gli Stati dell’Unione Europea, ad eccezione della Polonia e della Lituania, oltre che dell’Irlanda e di Malta (paesi nei quali l’aborto è vietato). Per quanto attiene il resto del mondo, come nell’UE anche negli Usa, in molti paesi dell’Europa dell’est, in India, in Cina e in quasi tutti i Paesi dove l’aborto è legale, decine di milioni di donne hanno abortito volontariamente con questo metodo, che è considerato sicuro ed efficace dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per capire meglio la questione bisogna tenere in considerazione il contesto in cui questa nuova situazione si innesta; nonostante l’aborto sia legale nel nostro paese dal 1978, (grazie alla legge 194) una parte dei cittadini per questioni etico-religiose non è daccordo con questa pratica. Padronissimi, per carità, ma dal non volersi avvalere di un diritto a voler negare agli altri di poterlo fare ce ne passa, eh? In Italia l’obiezione di coscienza sul tema (ginecologi che si rifiutano di eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza) è in media è del 70%, le Marche sono su quelle cifre, e il numero sta crescendo sempre più: continuando cosi, cosa succederà tra qualche anno?

A preoccupare è prima di tutto un dato: l’aborto clandestino esiste ancora. Lo ammette lo stesso Ministero della Salute, che, nella sua ultima relazione al Parlamento (gennaio 2019) approssimava una stima (ma non dati certi, trattandosi di una pratica illegale): tra le 10 e le 13 mila donne ogni anno ancora vi ricorrono. Che senso ha allora rendere ulteriormente difficile la via già difficile di chi sceglie di interrompere una gravidanza non desiderata? Molto probabilmente spesso si tratta di una scelta già difficile e sofferta.

Pertanto invece di mettere i bastoni tra le ruota a chi si trova in una situazione già difficile, forse sarebbe meglio cercare di lavorare sulla prevenzione, con informazioni e contraccezione: proprio quello che facciamo noi sul camper dell‘Unità di Strada Informabus! Venite a trovarci per dire la vostra, oppure commentate quest’articolo!


Gli adolescenti e la pandemia

Gli anni dell’adolescenza di solito sono quelli in cui si vivono “le prime volte”: prima uscita con il/la ragazzo/a che ti piace, il primo bacio, la prima volta che si fa l’amore, prima volta che si fa tardi la sera, ci si apre al mondo e ci si inizia a sperimenta lontano dal nido familiare; esperienze fondamentali per crescere e formare la propria identità. Chi vive questa fase della propria vita in questo periodo storico rischia di dover posticipare queste tappe e di vivere invece altre prime volte: la prima didattica a distanza, il primo lockdown, il primo compleanno senza amici e amiche…

Ho sentito per radio di alcuni nonni che hanno detto di voler rinunciare alla propria dose di vaccino per cederla ai nipoti, in modo che possano tornare a scuola e porre fine a questa reclusione. Ho sentito anche un’altra signora di 80 anni ha detto che secondo lei i vaccini andrebbero somministrati prima ad insegnanti e studenti, in maniera tale da permettere a questi ultimi di poter tornare alla loro vita, perlomeno di mattina, perchè loro sono il futuro, mentre i suoi coetanei sono il passato. Purtroppo queste voci mi sembrano isolate nel coro di coloro che rimproverano i ragazzi e le ragazze di stare troppo vicini, senza le mascherine, o dicono loro: “noi abbiamo vissuto la guerra, che vuoi che sia qualche mese di restrizioni, distanziamento sociale, mascherine, didattica a distanza…pensassero ad Anna Frank…”.

Quali saranno le conseguenze psicologiche e relazionali per questi ragazzi e ragazze, una volta che parentesi di semi prigionia si chiuderanno? Secondo il recente rapporto di Save the Children ben 6 ragazzi su 10 ritengono che il lockdown abbia avuto e stia avendo ripercussioni negative sulla propria capacità di socializzare e sul proprio stato d’animo e umore e allo stesso tempo il 50% dei ragazzi, 1 su 2, ritiene che anche le proprie amicizie abbiano subito ripercussioni negative a causa dell’impossibilità di andare a scuola.

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Escludendo la possibilità di relazionarsi con gli altri gli adolescenti si sono chiusi in sé stessi, dismettendo in qualche modo il loro ruolo. Non hanno voglia di fare dibattiti, di contrastare i genitori e di esprimere il loro punto di vista. La loro voglia di relazionarsi con gli altri, visto che non ne hanno la possibilità, è andata scemando. E per questo motivo la questione della scuola è centrale e tragica. Tolte le scuole viene meno l’asse portante delle relazioni; rischiamo davvero che gli adolescenti finiscano ripiegati su sé stessi. Oggi come oggi non soltanto il presente è diventato arido ma è anche estremamente difficile per i più giovani immaginare il proprio futuro.

I ragazzi e le ragazze che si avvicinano al camper dell’unità di Strada Informabus mi confermano di avere queste difficoltà, questi disagi. Voi cosa ne pensate?


Straight edge = rigare dritto


Cosi si chiama un movimento nato nei primi anni 80 negli Usa da alcuni gruppi punk (per la precisione hard-core punk) in risposta al nichilismo dilagante in quegli anni attorno a loro. Questi giovani ragazzi ribelli ebbero la necessità di diffondere un concetto positivo di ribellione e di reazione; proposero di condurre uno stile di vita sano e sobrio, lontano da alcol, altre droghe, sesso promiscuo. Il fine era mantenersi lucidi, svegli, attivi, non perdere tempo e lottare per le loro battaglie idealiste, egualitarie, anticapitaliste, antiimperialiste ed ecologiste.

“una mente sobria è un’arma potente”

Tra questi nuovi punk, droghe e alcol cominciarono a essere visti come strumenti di controllo e oppressione, e il sesso occasionale associato a un meccanismo che spingeva a trattare le persone come oggetti e impediva la formazione di legami forti. La diffusione di questa “sottocultura” fu traghettata dallo stile di vita dei Minor Threat, descritto nelle canzoni “Straight edge” del 1981 (I’m a person just like you / But I’ve got better things to do / Than sit around and fuck my head / Hang out with the living dead”) e “Out Of Step” del 1983 (“I don’t smoke / I don’t drink / I don’t fuck / At least I can fucking think”).

Ian MacKaye, cantante dei Minor Threat

L’esigenza di distacco e di netta distinzione si avvertì anche nello stile di chi aveva sposato questa filosofia di vita in quegli anni di estrema perdizione: spariscono i vestiti con le borchie e le folli creste colorate in favore di uno stile più sobrio.
Iniziano ad apparire,  tatuate sulle mani degli straight edge, delle X nere; nel “Atlantic Club”, uno dei locali americani più in voga in quegli anni, era vietato distribuire alcolici ai minorenni che, una volta varcato l’ingresso del club, venivano timbrati con delle grosse X sulla mani, affinché fosse loro proibito il consumo di alcool. Politica abbracciata in pieno dagli sXe che emularono la simbologia delle X.

Il movimento Straight Edge è figlio di un estremo bisogno di libertà da qualsiasi tipo di dipendenza fisica o mentale; nasce, soprattutto, come unico metodo per ritrovare se stessi e non essere succubi di nessuna distrazione che possa distogliere la concentrazione dal proprio io cercando di custodire il concetto di libertà in senso assoluto. Sono passati quasi 40 anni, ma ancora ci sono seguaci di questa filosofia, in tutto il pianeta, Italia compresa; ad esempio il fumettista Michele Rech, più conosciuto come Zerocalcare è uno di loro. Sicuramente motivi per essere lucidi e determinati a cambiare il mondo ne potremmo trovare anche oggi; ad esempio l’emergenza ecologica, da cui è scaturita quella sanitaria, sociale ed economica del covid 19…

Invece i consumi di alcol e altre droghe tra i giovanissimi sono sempre in aumento, e sta anche tornando prepotentemente di moda l’eroina. Spesso i ragazzi e le ragazze, nell’età dell’adolescenza fanno certe cose per non essere da meno, per non essere considerati “sfigati”. Tutti bevono, tutti fumano, sniffano, prendono sciroppo per la tosse e sprite, te che fai? Ti dissoci? Non ti conformi? Ebbene c’è chi pensa che è più ribelle non consumare droghe e avere più energie psico-fisiche per cercare di realizzare i propri sogni! Voi che ne pensate?